30 settembre 2010

Prooof#2

[Geografia, cartografia, le strade lasciate in eredità dai Romani ai posteri]
- Allora, sapete tutti cosa vuol dire "posteri"?
- Siiiiii!!
- Quindi, chi sono i "posteri"?
- Quelli che portano la posta.
- Ma no, rileggete la frase, cercate di contestualizzare!
- Prof, io lo so! Stiamo parlando di cartografia, quindi i posteri sono quelli che fanno i poster...invece dei cantanti ci sono le strade.


(Alunno1) - Prooof! Ma è vero che Leonardo da Vinci andava con gli uomini?
(Alunno2) - Non può essere!
A1 - Ah, perché no?
A2 - Perché Leonardo era italiano...quel movimento invece è nato in Inghilterra!
(Prof) - Di che movimento stai parlando?
A2 - Del movimento gay!

27 settembre 2010





- Toc, toc!
- Chi è?
- Ciambellano*!
- C'ha che?
- ...leggo le carte...






Durante una festa liceale un mio caro amico se ne uscì con questa battuta. Sarà stata l'ubriachezza tardo-pomeridiana, l'innegabile bravura del mio amico (ora attore nonché fondatore di codesta compagnia teatrale) o più semplicemente l'elevatissimo grado della mia stupidera adolescenziale - per quella attuale non ho più scuse-, fatto sta che ho riso, con alcuni fidati complici, a questa battuta per ore, macché dico ore, giorni, macché dico giorni...anni. Insomma, ci rido ancora adesso. 
Nel mio cuore ha solo una validissima rivale, adattabile a seconda del contesto:
"Anche (o eppure) in Cina hanno tanto riso".
Sì, lo so, voletemi volatemi bene lo stesso.

*Si tratta senz'altro di una precisazione futile, un insulto alla vostra intelligenza. Tuttavia ricordo che quella sera qualcuno se la fece spiegare svariate volte e temo che ancora oggi non l'abbia capita. Per cui: ciambellano = c'ha 'n bell'ano :)
...no vabbeh, troppo ridere...

Prooof#1


- Prooof! Ma perché mette gli occhiali per leggere?
- Perché se no non ci vedo e mi bruciano gli occhi.
- Aaah! Allora lei è presbiteriana!
- Mmmh...


P.S. La scelta di Daria è dovuta esclusivamente al fatto che lei porta gli occhiali. E comunque la trovo eccezionale...qualcuno sa dirmi se Mtv la trasmette di nuovo o devo darmi allo streaming?

24 settembre 2010

Iceland #1


Halló. In case you are wondering,
the way to say “good night” in my people’s language is “góða nótt”.

Góða nótt,
- Iceland

19 settembre 2010

...and yet it haunts me so: what are we letting go ?

"...someday we'll wave hello
and wish we'd never waved goodbye...".
 (This time - Smashing Pumpkins)


Sogno spesso cancelli e porte. Mi capita di volerli attraversare, di essere obbligata a farlo, di spingerci qualcuno, di tendere una mano per fare entrare qualcun altro. Credo sia semplicemente il riflesso di una mia piccola ossessione, quella che io chiamo "Sindrome dell'abbandono". Non importa che sia io a decidere di andarmene, o che sia la persona accanto a me a fare i bagagli: per me si tratta sempre di un dolore profondo, di una porta che si chiude, della nascita di un rimpianto. Come sarebbe stata la mia vita con quella persona vicino? Quale sarebbe stata la nostra strada insieme? Certo, finisco col conviverci. Non passo le mie giornate a chiacchierare coi fantasmi del mio passato, eppure non posso neanche dire di essere del tutto indifferente a canzoni, odori, film o qualsiasi altra cosa possa ricatapultarmi accanto a chi, per un motivo o per un altro, non c'è più.
Il fatto è che, in genere, penso si tratti di un pensiero unidirezionale. Non ho mai la presunzione di credere che qualcuno, la cui vita non mi riguarda più, possa pensare a me. Si ricollega un  po' al discorso dei sogni fatto qui tempo fa, al mio sentire la necessità di raccontare a qualcuno se l'ho sognato; necessità raramente sentita nel verso opposto.
Forse è proprio per questo che rimango stupita, in modo assolutamente piacevole, quando "ogni tanto, non spesso ma ogni tanto", quando ritrova il link perso fra i salvati, qualcuno che non sento da anni legge il mio blog (e gli piace)(e me lo dice). O quando, dopo averle comunicato la notizia più bella della mia vita, guardo negli occhi una cara amica che sta a km di distanza e riesco a cogliere la sua emozione, sincera.
Queste sono le poche volte in cui la porta rimane aperta: non ci sono folate di vento provenienti da lontano lontano a farla sbattere; non c'è la pesante chiave degli anni passati (a volte sono davvero tanti) che chiude con doppia mandata. Ci sono solo persone che vanno e vengono, passano a farmi visita, mi regalano un'emozione: il calore di condividere un ricordo, l'impegno di costruire un presente. Ma il regalo più grande, che nessuno è mai consapevole di farmi, è quel minuto di serenità in cui mi rendo conto che non c'è stato nessun abbandono, che la vita è fatta di assenze, di scelte e, specularmente, anche di presenze e responsabilità. Vorrei solo che durasse un po' di più, perché la porta subito viene richiusa.
Ma questo dipende solo da me, purtroppo.

18 settembre 2010

Addicted

Vi prego, ditemi che non sono l'unica.
Ho una cartella sul desktop del mac, "Telefilm". Nove altre cartelle all'interno, in ordine: 90210, Boris, Brothers and Sisrers, Grey's Anatomy, Gossip Girl, Glee, Melrose Place, Pretty Little Liars, Private Practice (ai quali si devono aggiungere quelli che ho in dvd o su hard disk e che riguardo spesso, come Sex and the City, Ally McBeal, Gilmore Girls e le meteore come Privileged o Dirt). Rimango quasi sempre indietro, ci metto mesi a recuperare, ma li seguo tutti.
Per quanto riguarda le vaccate italiane, in passato non mi perdevo una puntata di Distretto di polizia (in realtà credo di aver visto solo fino a quando non è morto Giorgio Pasotti) e quando stavo ancora a casa "dei miei", con mia mamma guardavo anche una roba sulla Rai che credo si chiamasse qualcosa tipo "Pazzi per amore".
E' una cosa tristissima, lo so. Ma sono in genere gli unici cinquanta minuti della giornata che mi permettono di scollegare il cervello, di tornare ad avere quindici anni e rilassarmi. Pure troppo: il 90% delle volte mi faccio anche un pisolino e quindi mi perdo i punti salienti.
(Quando oggi a scuola i miei alunni mi hanno confessato di adoVaVe i Cesaroni, non ho resistito alla tentazione di farmi raccontare qualcosa della puntata di ieri che non ho potuto vedere. Che professoressa degenere -.-)

Non sono l'unica ventisettenne con questo problema, vero? Aiutatemi.


15 settembre 2010

Non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.

 "...sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue."

La mia fortuna è avere te. Perché dove io non vedo, lo fai tu.
Sbaglio spesso, spessissimo, soprattutto quando si tratta di capire le persone. Culatelli di prosciutto sugli occhi. Pazientemente me li togli, mi spieghi, capisco.
Lo fai senza alcuna presunzione, supponenza, rivalsa. Però, porco boia, arriverà il giorno in cui riuscirò a capire da sola chi mi sta di fronte? Riuscirò a non stendere lo zerbino con scritto "Welcome" di fronte a tutti quelli che mi stanno davanti?
Ma soprattutto, perché?

13 settembre 2010

Un peu d'air sur terre

Un po' di autunno, di uno degli ultimi week-end che passeremo qui.
Una cascatina di foto. Perché quando la iaia pubblica le sue io rimango sempre incantata :)



8 settembre 2010

Dell'amore per la malinconia.

Avete sedici anni, forse diciassette.
Siete innamorate/i (facciamo "e" che l'immedesimazione, non so perché, mi viene spontanea).
Ovviamente (oh beh, per me era sempre un ovviamente), non siete ricambiate. Non ancora. Cioè, voi ci sperate. Ma anche no, meglio non farsi illusioni.
Lui è quello figo di quinta, quello che sta all'ultimo piano. Voi fate terza, non potete salire all'ultimo piano.
Oppure lui è il vostro migliore amico. Quello che vi chiama a casa tutte le sere, quello che in classe tutti l'hanno capito. Tutti tranne voi. O tranne lui.
Lui potrebbe anche essere il fratello della vostra migliore amica, il vicino di casa, quello della 3°C, quello che va a ragioneria, quello che frequenta il pub (IL, perché ad Aosta ce n'è uno).
Insomma, Lui è Lui.
C'è poco da fare, siete innamorate perse: di un amore profondo, di un amore passeggero, di un amore platonico, di un amore insensato (ma gli avete mai rivolto la parola?), di un amore estivo, di un amore malato, di un amore Amore.
Non importa come, perché, per quanto, per davvero o per gioco. I sintomi sono quelli.
Viso sempre paonazzo, mani sempre sudate, capelli mai a posto. Per non parlare dei jeans che ti stanno di merda e che l'amica con cui giri è sempre più figa di te. (Ma tanto Lui mica si ferma a quello, riuscirà a capire che io sono figa dentro). (No, in genere Lui non lo capisce).
Ogni volta che uscite di casa, anche se andate a prendere la posta e Lui abita a 15 km da voi, pensate: "E se lo vedo? No, davvero, mi sa che sto giro lo vedo. Me lo sento!". Vabbeh.
Ogni volta che uscite di casa e c'è la "possibilità" di vederlo, l'ansia sale. Tra un incontro e l'altro immaginate sguardi, immaginate parole, immaginate di tutto.
Però, quando il momento si avvicina, quando la possibilità sta per concretizzarsi, quando vedete il suo motorino parcheggiato davanti al liceo, vedete i suoi amici, vedete la sua maglietta rossa spiccare nella folla...eccolo che arriva, il pessimismo cosmico.
Perché siete uscite? Tanto vi saluterete e poi ognuno per la sua strada.
Perché vi siete fatte delle illusioni? Tanto anche se passaste del tempo insieme lui non s'innamorerebbe mai di voi.
Perché vi fate del male? Sì, lui vi vuole bene ma non lascerà mai la sua ragazza per voi.
Guardatelo: è così bello, perfetto...perché dovrebbe volere proprio voi?
Serata rovinata. La testa, la pancia, il cuore sono invasi da una strana malinconia, un sapore amaro di rassegnazione, di fallimento, di impotenza. Non poteva che andare così, è inutle accanirsi. No ma, davvero pensavate...? Ma vi rendete conto che idiozia? Le vostre amiche (soprattutto quella molto figa) ve l'avevano detto.

Eppure ogni volta è così.
A sedici anni, forse diciassette, ogni volta cedi alla dolcezza dell'attesa.
Ogni volta ti fai fregare dal calore di quei pomeriggi sognati ad occhi aperti.
C'è poco da fare. Ami la fitta nella pancia, quel rossore sul viso. Ami anche le mani sudate. (I capelli sempre indecenti, quelli no).
A volte ami anche quei dieci metri che ti separano da Lui, prima che la negatività prenda il sopravvento. In quei dieci metri ti senti forte, ti senti invincibile, speranzosa, ottimista, sorridente. Quei dieci metri sono la morte del cigno: basterà il suo "ciao" detto con un tono leggermente diverso da quello che avevi immaginato per farti piombare nel baratro. Basterà vederlo sorridere di fronte ad un sms, per costruire tetri e inespugnabili castelli in aria. E le amiche che ti accarezzano la testa e ti dicono "Ci perde lui, meglio di te non può trovare", le prenderesti tutte a pugni in faccia.

E' capitato anche a voi?


A sedici anni, e anche a diciassette, mi è capitato spessissimo.
A ventisette, felicemente innamorata e oramai accasata, il mio Lui è l'autunno.
Un amore folle, incondizionato, immotivato. Non vedo l'ora che arrivi, mi preparo, anche quando vado a prendere la posta.E poi mi ferisce con la sua bellezza, i suoi colori, il tepore delle sue giornate. Mi fa sentire inferiore, non all'altezza. Rimango completamente inerme, rapita dalle ombre lunghe, inebriata dal profumo dell'avvertimento: "Tra poco arriverà l'inverno, non potrò essere tuo per sempre".
Ci sono cascata di nuovo.

7 settembre 2010

Home. Casa.

Non saprei dire in che mese siamo. Probabilmente è autunno inoltrato: sono le sei del pomeriggio e fuori dalla finestra è buio. Guardo la luce del lampione in strada per capire se sta piovendo. Sembrerebbe di no, ma è difficile dirlo. Le nuvole offuscano l'atmosfera e sono talmente basse che non si vedono neanche le montagne.
La luce in cucina invece è gialla. Sono sincera, non mi dispiace. La trovo calda ed accogliente. La radio è sintonizzata su una di quelle stazioni che piacciono tanto a mia madre: la voce avvolgente dell'annunciatrice si alterna a canzoni di ieri e di oggi: i primissimi anni novanta. Nonostante io stia facendo i compiti non m'infastidisce. E non m'infastidisce neanche mia mamma che canticchia quel motivetto in inglese, sostituendo un "dududu" quando non conosce le parole. Sta preparando la pizza per cena. Quella già pronta, per carità. Quella istantanea. A volte è la Pizza Star, a volte la Pizza Catarì, a seconda di quale le è venuta meglio la settimana prima. Il profumo della passata e dell'origano si confondono con quello del tè che sorseggia tra una teglia unta e il taglio della mozzarella.
Indosso una tuta rossa, un po' felpata, la mia preferita. E' stata di mio fratello, come molti dei vestiti che indosso. Quand'ero più piccola a volte, per strada, mi hanno scambiata per un maschio. Avevo i capelli più corti di ora, i vestiti di Massi, le sbucciature sui gomiti e sulle ginocchia. A me le gonne non piacciono neanche adesso e quando la mamma mi obbliga a metterle, dopo cinque minuti ho già rotto le calze e lei si arrabbia.
Sono seduta sulla sedia nera e scomoda, con le gambe piegate sotto al sedere, per essere un po' più alta. Di fronte a me ho un quadernone a quadretti, il mio astuccio della Scout ordinatissimo, una cornicetta da disegnare in fondo all'esercizio appena concluso.
Arriva Massi con la nostra pallina in mano. La mamma già comincia a borbottare. Le chiediamo il permesso di andare a giocare in veranda. Ci obbliga a indossare un'altra maglia sopra la tuta, "perché di là non c'è il riscaldamento e fa freddo. E state attenti alle piante!". Alla giungla, vuole dire. Lascio i colori e il quaderno sul tavolo, mi precipito a giocare con mio fratello. Il naso freddo, il collo sudato, i vetri bagnati di condensa, la pallina che finisce sempre inesorabilmente in mezzo alle piante della mamma, i contrasti corpo a corpo, le risate da bambini. Arriva anche Mino, ma quel fifone di un gatto ha paura della pallina, si nasconde tra le piante e approfittando di un attimo di PAUSA (è la nostra parola d'ordine per smettere qualsiasi cosa stiamo facendo: giocando a calcio, il solletico, la lotta) torna in cucina e non si fa più vedere. Giochiamo fino a quando la pizza non è pronta, fino a quando la mamma non ci ha "già chiamati cinque volte, alla prossima la pizza ve la scordate!".


Questo è uno dei momenti della mia vita che mi torna più spesso in mente. Arriva da solo, inaspettato, oppure sono io a ricercarlo nella memoria. Mi rende serena, mi libera dalle ansie, dalle preoccupazioni. E' uno dei miei fili di collegamento (ce ne sono un altro paio) tra quella che sono ora e la bambina che sono stata. E' un rifugio intoccabile, sicuro, eterno.


[il tè della mia mamma, la luce gialla, la sua cucina]

6 settembre 2010

Cambia il vento ma noi no.

L'altra sera guardavo i provini di X-Factor. Una ragazza ha cantato "Quello che le donne non dicono", canzone sentita e risentita, a causa anche di una nota pubblicità di collant, se non sbaglio, soprattutto per quanto riguarda il ritornello. Eppure mi è sembrato di ascoltare veramente questa canzone per la prima volta. Ho ritrovato, soprattutto nella prima strofa, alcune verità che magari non sono condivise da tutte le donne, ma che potrei avrei scritto io. E invece gli autori sono due uomini (Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone), che cosa strana.

Ci fanno compagnia certe lettere d'amore
parole che restano con noi,
e non andiamo via
ma nascondiamo del dolore
che scivola, lo sentiremo poi,
abbiamo troppa fantasia,
e se diciamo una bugia

è una mancata verità
che prima o poi succederà

cambia il vento ma noi no
e se ci trasformiamo un po'
è per la voglia di piacere a chi c'è già o potrà arrivare a stare con noi,
siamo così
è difficile spiegare
certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
con le nostre notti bianche,
ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si".
In fretta vanno via delle giornate senza fine,
silenzi che familiarità,
e lasciano una scia le frasi da bambine
che tornano, ma chi le ascolterà...
E dalle macchine per noi
i complimenti dei playboy
ma non li sentiamo più
se c'è chi non ce li fa più
cambia il vento ma noi no
e se ci confondiamo un po'
è per la voglia di capire chi non riesce più a parlare
ancora con noi.
Siamo così, dolcemente complicate,
sempre più emozionate, delicate ,
ma potrai trovarci ancora quì
nelle sere tempestose
portaci delle rose
nuove cose
e ti diremo ancora un altro "si",
è difficile spiegare
certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
con le nostre notti bianche,
ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si"
.

5 settembre 2010

Della lavatrice sessista.

Ari -"Cheppalle...sempre al rovescio 'sti calzini...ci metto il doppio a riappallottolarteli!"
Luca -"Ce l'hai con me?"
A -"E con chi se no? Te lo dico tutte le volte...e sono sempre tutti al rovescio!"
L -"Non è colpa mia, è la lavatrice".
A -"La lavatrice?"
L -"Sì, è la lavatrice che le rigira".
A -"E perché le mie calze non le rigira?"
L -"Perché sono da donna".
A -"-.-"

2 settembre 2010

Finally, september!


Settembre, si ricomincia a vivere.
Per me è sempre stato così. L'estate è un'amica troppo appiccicosa ed invadente. Simpatica, per carità, ma di quelle che vanno prese a piccole dosi, non certo per tre mesi di fila. Così l'attesa si fa ancora più impaziente.

Da un paio di mattine a questa parte Lapo profuma di autunno. Deve aver dormito in qualche legnaia o in un sottotetto...il suo pelo ha l'odore forte della legna, di foglie gialle e rosse. Non riesco già da ora a trattenere le lacrime, se penso che tra poco mio zio rientrerà dal suo viaggio e Lapo tornerà con lui. Settembre è anche questo, disperata malinconia.

E poi c'è la scuola: il lavoro, certo, ma prima ancora c'era il grembiulino nuovo, i quaderni, gli amici, il ricordo ormai lontano del mare. C'era il parco davanti al liceo, con gli alberi che perdono le foglie, le panchine con scritte sbiadite, il via vai dei motorini. C'era Palazzo Nuovo che si rianimava dopo il letargo estivo, l'odore di incenso, le bancarelle colorate, l'ansia da esame. A settembre la città ricomincia a vivere, il cuore ricomincia a battere.

Settembre, una specie di capodanno morale. In tre mesi si ha il tempo di fare grandi scorte di progetti, buone intenzioni, programmi a lungo termine. Per quel che mi riguarda questo nuovo anno che sta per cominciare sarà tra i più belli della mia vita. A volte basta "un solo" sogno che si avvera per rendere immuni da qualsiasi tristezza e delusione.

Caro Settembre, volevo solo darti il benvenuto :)

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